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“ Il manifesto della lunga vita” scritto da Paolo Marandola e Francesco Marotta, presidente e direttore scientifico della Fondazione Gaia, Fondazione nata esclusivamente a scopo culturale e scientifico per occuparsi di medicina Antiaging su basi non commerciali,  e con la prefazione dell’oncologo Umberto Veronesi, parla della medicina predittiva e Antiaging. Lobiettivo principale è fornire gli strumenti per raggiungere e superare i 100 anni, in salute.


Negli ultimi anni la spesa sanitaria complessiva nazionale è aumentata dell’81% e le principali cause di morte e invalidità sono state le malattie cronico-degenerative, in particolare quelle cardio-cerebrovascolari che sono fondamentalmente prevedibili e prevenibili.
Il volume esplora le nuove frontiere della prevenzione, unendo informazioni sul genoma umano e sulle cure geniche che possono essere un efficace strumento di prevenzione, toccando i temi delle più recenti innovazioni scientifiche (come i nanorobot esploratori, che possono viaggiare all’interno del corpo umano monitorando lo stato di salute di organi e apparati) e facendo il punto sull’importanza della qualità della vita psicofisica.

Riportiamo l’intervista al professor Professor Francesco Marotta:


Come nasce il progetto?

 
Abbiamo voluto fare questo libro, scriverlo a due mani, citando nomi tra i più importanti, italiani e stranieri, perché si potesse spiegare al lettore attento, e a tutti i medici, quali opzioni, partendo dalla cellula, sono oggi possibili per rallentare l’invecchiamento o quanto meno per ridurre il peso delle malattie età-correlate: il problema non è tanto quello di allungare la vita, ma di non trascorrere gli ultimi 20 o 30 anni con una serie di patologie croniche, quindi non vivendo ma sopravvivendo.


Il libro propone il tema della medicina anti-aging come un approccio più mirato ed efficace al problema della prevenzione: di cosa si tratta?


La medicina anti-aging mira principalmente a mantenere la salute, più che a curare la malattia, e può contribuire ad aumentare le nostre aspettative di vita.
Rispetto alla medicina statutaria, che è una medicina della malattia e si presenta poco integrata nei suoi diversi campi di azione, si sta sviluppando la medicina anti-aging che intende fornire soluzioni alle richieste di benessere e salute a cui la medicina ufficiale non è in grado, invece, di rispondere.
La medicina anti-aging ha un approccio olistico e si propone come una medicina veramente preventiva perché guarda a fasi che precedono la malattia: guarda non i sintomi, ma i segni iniziali di alterazione dei vari sistemi dell’organismo.
Purtroppo al momento si tratta di una proposta privata, con tutti i rischi che questo comporta: in molti casi ha fortissime valenze commerciali e poche validazioni, e suscita quindi incertezza e molto scetticismo.
Per questo, insieme al professor Marandola, abbiamo voluto scrivere un libro in cui si spiegasse al lettore, senza essere troppo pesanti, che cos’è la cellula e come funziona, per poi dare degli strumenti il più possibile informativi e propositivi, ciascuno all’interno di ognuna delle nostre aree di competenza, che si sia gastroenterologi, geriatri o neurologi. Ci sono infatti, comunque, delle aree di interesse che fanno comprendere come gli interventi sulla salute, non sulla malattia, possano esistere in ogni campo, ma sono appunto, attualmente, male integrati. Abbiamo aggiunto anche qualche dettaglio su soluzioni e ricerche futuribili, ma senza esagerare: non volevamo scrivere un libro di fantascienza.


Qual è quindi la differenza tra medicina predittiva e medicina preventiva?



Oggi non si pratica una medicina della salute, ma una medicina della malattia. Si va nell’ambulatorio di un medico per un disturbo, quindi quando c’è una malattia.

Molti disturbi, e non parlo dei più gravi, in realtà possono essere forieri di una futura malattia: il disturbo spesso è un sintomo, ma in molti casi viene trattato e fatto scomparire con un farmaco sintomatico, sottovalutando il fatto che può essere una spia di un problema più ampio di cui, prima o poi, si pagherà il prezzo.
Adesso non c’è un tutore della salute, c’è una medicina sociale, e la nostra è eccellente rispetto a quella di molti altri stati, nonostante ciò che se ne dice. Gli otto mesi di attesa per una MOC (Mineralometria Ossea Computerizzata, un esame che serve a misurare la densità della massa ossea e aiuta a individuare le persone più a rischio di fratture da osteoporosi, ndr) o per un’ecografia, purtroppo, esistono: se però il medico programmasse esami per la salute del cittadino a scopo davvero preventivo, qualche mese di attesa per una MOC non costituirebbe un problema. Ciò che non funziona è farla alla donna in menopausa, perché una donna in menopausa con osteoporosi, nonostante tutto il calcio e la vitamina D che può assumere, non ce la farà quasi mai ad avere un osso sano come quello di una persona giovane. È una battaglia persa in partenza, perché si è in una situazione in cui si possono soltanto “mettere delle pezze”: tuttavia la MOC continua a essere prescritta solo alle donne già in menopausa.
Per fare un esempio: io ho 51 anni e 4 anni fa mi sono sottoposto a una MOC anche se, in quanto uomo e sportivo che ha sempre avuto un’alimentazione ad alto contenuto di latticini, sono – secondo la dottrina – esposto a un rischio inferiore di osteoporosi; invece è risultato che ero osteopenico, ovvero non avevo un’osteoporosi, ma presentavo comunque una situazione che lasciava presupporre un rischio futuro.
La medicina si gioca proprio lì, nell’essere sempre più precoci nel capire ciò che sarà un problema dopo. Sottoporsi a esami solo a scopo diagnostico, quando si sa che si individuerà qualche patologia già in atto, non è medicina preventiva, è una truffa semantica.


Quali sono le nuove frontiere della prevenzione e della medicina della salute?


Una è la genomica che è il nuovo campo di gioco della medicina e che sempre più sta entrando nella medicina applicabile anche fuori dal laboratorio. Grazie ai progressi sullo studio del genoma umano è possibile avere maggiori informazioni sulle predisposizioni ereditarie. Un tempo, individuare possibili malattie ereditarie era compito del medico di famiglia, attraverso una conoscenza approfondita della storia medica familiare dei propri pazienti. Tuttavia le sue non potevano che rimanere sensate congetture.
Oggi la genomica può dare risposte più precise e, tramite gli esami genomici, abbiamo la possibilità di scoprire se stiamo trasportando ereditarietà dannose. Questa disciplina sta entrando negli ospedali e sta diventando fruibile, per facilità e per costi, mentre fino a poco tempo fa era inavvicinabile, non solo per i costi, ma anche per i tempi di analisi, che erano lunghissimi.
Il senso della genomica oggi non è solo di pesare il rischio di una patologia, che è una variabile immodificabile, ma di dirci se ci sono variabili modificabili relative alle nostre ereditarietà, se stiamo “costruendo” malattie o meno, e questo, con molta cautela, è uno strumento importantissimo nelle mani di un medico. Se il medico sa che un certo rischio è scritto nei nostri geni e che il nostro RNA (trascrizione genica) sta trascrivendo anche questo difetto, può essere più preciso nel decidere quali norme di vita consigliare, nel prescrivere, per esempio nel caso di chi ha predisposizione a maturare un’ipertensione, un’attività fisica di tipo aerobico piuttosto che anaerobico (palestra e sollevamento pesi), nel decidere di aumentare l’introito di antiossidanti ecc.
Non si rischia però di creare una certa isteria nei confronti della salute? Sicuramente è vero quello che dice, ma non sarebbero infiniti gli esami a cui ci si potrebbe sottoporre? Esistono delle linee comportamentali per regolare questa pratica affinché la prevenzione – o predizione – sia ragionevole e non isterica e compulsiva? Inoltre, molte persone sarebbero restie a sottoporsi a un esame genomico, perché non vogliono scoprire, eventualmente, di poter sviluppare una malattia per la quale alcuni ritengono che non ci siano serie possibilità di cura: è un’informazione che molti non vorrebbero avere.
Linee comportamentali? Io mi sento di dire di sì: se tra i miei genitori ci sono ipertesi oppure diabetici, anche senza ricorrere alla genomica è normale pensare che esista in me una predisposizione a questo tipo di patologie.
Sul secondo punto, ci tengo a dire che ritengo che i principali nemici siano il terrorismo dell’informazione e il fatalismo: la genetica è una materia complessa che non è possibile ridurre ad affermazioni del tipo “sei così per tua natura e ti ammalerai”: non è vero, molto va fatto e si può fare. Avendo queste informazioni a disposizione, si può gestire in modo proattivo la situazione.
Purtroppo, sui temi della genetica, c’è molta ignoranza e si tende a confondere il concetto di “avrò una malattia” con quello di “corro il rischio di svilupparla”. Indubbiamente, purtroppo, esistono malattie genetiche, e molto gravi, che si sviluppano negli anni: un esempio è quello della corea di Huntington. Sapere che io ho scritto nei geni una cosa del genere è veramente una spada di Damocle. Qui però non si sta parlando di malattie genetiche, ma delle principali malattie croniche, come quelle cardio-cerebrovascolari, che sono quelle che hanno il maggior peso in termini di mortalità, di usura e di peggioramento delle condizioni di vita di molti di noi nelle ultime due o tre decadi di vita. Dobbiamo vedere questi esami in modo proattivo: non devo aspettarmi che sarò sicuramente un iperteso se mio papà lo è e la mia genomica dice che ho questa predisposizione, anche perché sulla genomica influiscono poi le variabili ambientali. Semplicemente si tratta di sapere per tempo quali interventi sul mio stile di vita è più opportuno fare.
Tra gli interventi possibili nel vostro libro parlate anche di alimentazione…
Sì, oggi è stata coniata una nuova parola, che è nutraceutico: si tratta di un alimento, o meglio di una parte di un alimento, che oltre a fornire elementi vitaminici dà un beneficio misurabile sulle funzioni fisiologiche e benefiche per la salute.
Un termine ancora più forte è quello di nutragenomico, ovvero un alimento che agisce a livello cellulare, modulando una funzione.
Continuare a insistere solo su dieta mediterranea e consumo di frutta e verdura, come si fa in televisione, è riduttivo, anche perché le tavole di composizione di alimenti sono ormai datate e non sono state aggiornate. Per spiegarmi: i nostri pomodori non contengono il licopene di una volta, quindi è impensabile che io li prenda per lo specifico nutriente, perché affinché questo abbia funzioni nutraceutiche (ovvero di modulatore cellulare) dovrei mangiarne una quantità spropositata.
A questo fine l’alimentazione dovrebbe essere arricchita, in modo personalizzato, con i giusti integratori alimentari.
Con questo non sto affatto dicendo che essi siano dei sostituti alimentari: l’assunzione di pillole non può prendere il posto dell’alimentazione; può insorgere questo rischio, nei confronti del quale capisco perfettamente l’ostilità dei nutrizionisti, con i quali concordo. Guai a prendere pillole invece che mangiare: questa è una distorsione del mercato, del commercio, che non bisogna neppure considerare.
Ma è vetusto continuare a dire che la dieta mediterranea ci preserva e ci protegge. Ci protegge rispetto agli anglosassoni che hanno una dieta con un introito di grassi molto superiore, ma non ci fornisce una protezione reale e concreta.
Il consumo di pesce ha ridotto la mortalità per eventi cardiovascolari, ma ci sono anche studi che dicono che il pesce ricco di contaminanti,
soprattutto mercuriali, annulla o inverte gli effetti protettivi.
La soluzione non è quindi mangiare due branzini al giorno, ma integrare questo con Omega-3, se voglio una valenza nutraceutica, in modo che moduli le funzioni cellulari.
Lei parlava di esami genomici per una vera prevenzione, o predizione, però ammetterà che questi esami non sono alla portata di tutti: non parliamo solo di costi, ma anche di tempi; se tutti cominciassero davvero a richiederli, le strutture attuali sarebbero in grado di soddisfare la richiesta? La situazione sarebbe gestibile?
Questo in effetti è uno dei punti cruciali della questione. La mia personale opinione è che questi esami dovrebbero probabilmente essere sposati dalla medicina pubblica cominciando a lavorare, inizialmente, per ottenere i primi risultati, sulle popolazioni a rischio, per esempio facendo screening di persone che hanno già una familiarità con certi disturbi.
Tony Blair ha fatto una cosa simile nel 2004, realizzando un documento molto importante che si chiama White Paper, non cercando un beneficio politico, perché i benefici di una medicina di questo tipo – preventiva-predittiva – si hanno 10, 15 anni dopo. Con il White Paper il ministro inglese ha selezionato 9 ospedali inglesi e nei loro check-up sociali, che effettuano comunque nell’ambito della medicina di screening, ha fatto inserire una serie di esami genomici perché possa fruirne la popolazione nell’ambito dei controlli, lo scopo è capire, a distanza di tempo, quali benefici può portare; certamente notevoli benefici economici. La genomica spinge a partire prima e a cominciare a prendere coscienza dei problemi all’età giusta. Sarebbe un vantaggio enorme per la sanità e questo oggi sta arrivando a essere fruibile o almeno economicamente accettabile. Si pensi che con una sola goccia di sangue, al costo di alcune centinaia di euro, è possibile studiare 40-50 polimorfismi, più le mutazioni. Solo sette o otto anni fa ce ne volevano alcune migliaia per studiare un solo polimorfismo.

 


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